POWERSLAVE (IRON MAIDEN, 1984)

CONCEPT GIOIELLO, MAIDEN STELLARI. Sotto l'ombra delle piramidi, tra mummie e faraoni, la Vergine di Ferro nel 1984 piazza un colpo eccezionale della propria eccellente discografia. Stiamo ovviamente parlando degli Iron Maiden e del loro super classico 'Powerslave', dalla celebre copertina con Eddie a impersonificare il tempio di Abu Simbel. 'Powerslave' è un concept album che corre a ritroso nella storia, trattando grandi battaglie avvenute in diverse epoche del passato. Soprattutto, è un capitolo fondamentale nella storia della band, oltre che uno dei dischi imprescindibili dell'heavy metal. L'evoluzione del combo di Steve Harris, iniziata con due dischi adrenalinici figli del punk e proseguita con l'epicizzazione vista in 'The Number Of The Beast', si lascia alle spalle la fase più melodica e semplicistica di 'Piece Of Mind' e punta decisamente in alto: 'Powerslave' è infatti un album-gioiello, un insieme di brani di gran livello lirico e compositivo in cui tecnica, melodia, solennità e robustezza si sposano alla perfezione. Indicato per gli amanti del classico come per quelli del power più enfatico, certo, ma pieno di assoli e soluzioni stilistiche capaci di soddisfare sia l'amante della musica più tendente al progressivo che quelli che ricercano prevalentemente delle sane schitarrate elettriche. L'eccitante riff battente di 'Aces High' apre il disco, incentrandosi sugli eroici piloti britannici che difesero la patria dalla Germania nazista. 'Two Minuts To Midnight' è la canzone migliore del lotto, un classicissimo divenuto ormai leggendario. In particolare il suo riff iniziale è qualcosa di magico e inconfondibile: la song è travolgente e moderna, oggi come vent'anni fa, e tratta di una guerra atomica. Il terzo capitolo del full-lenght è la strumentale 'Lesfer Words', dimostrazione di tecnica e melodia sopraffine.'Flash Of The Blade' catapulta sull'ascoltatore un tagliente riff introduttivo; la song parla di un giovane guerriero a cui viene sterminata la famiglia in giovane età. 'The Duellist' si caratterizza per una lunghissima e splendida parte strumentale, mentre delle fantastiche chitarre distorte aprono 'Back In The Village'. Si arriva dunque alla title track 'Powerslave', ambientata appunto nell'Egitto antico (per ricollegarci all'input della recensione): è la storia di un faraone che non vuole morire ma sa che non può sfuggire al potere della morte. Il riff è solenne e orientaleggiante nel suo inizio; Bruce Dickinson, grandioso in tutti i pezzi, si misura in linee vocali più aspre e cattive. Dopo una lunga cavalcata strumentale, la song riprende col refrain iniziale. Gli Iron Maiden scelsero l'Egitto come ambientazione dell'artwork e della famosissima scenografia che li accompagnava in tour proprio in seguito ad un viaggio nel paese della Sfinge; la stessa scenografia, tanto amata dai fans, è stata riproposta nel world tour iniziato nel 2008 e transitato anche al Gods Of Metal. L'album si avvia alla conclusione, ed è un finale in grande stile con 'Rime Of The Ancient Mariner', il brano più lungo della maidenografia. Melodia e funambolismi cristallini si succedono in parti molto varie e coinvolgenti, per 13 minuti di opera rock ispirata al romanzo omonimo di Samuel Coleridge. Perché gli Iron Maiden oltre a fare della grandissima musica sono anche degli artisti e dei compositori intelligenti, checché ne dicano i luogocomunisti che associano la parola "metallaro" ad aggettivi come "ignorante" e "ubriacone". 'Powerslave' è una delle migliori risposte che l'heavy metal può schiaffare sulla faccia di chi non lo considera un'inarrivabile forma d'arte, e non poteva pervenire che da una band importante come quella di Steve Harris.