THE DARK RIDE (HELLOWEEN, 2000)

POWER SENZA PRETESE. Spesso si tende a far di tutta l'erba un fascio, e denigrare quello che gli Helloween sono stati dopo l'era con Michael Kiske, quella per intenderci del doppio gioiello Keeper Of The Seven Keys. Certamente la band amburghese non ha più sfornato capolavori del genere, capaci di reinventare o arricchire un genere, ma bisogna tenere presente che dopo l'ingresso di Andi Deris in line-up le zucche non sono più state la stessa band prima. Se ci si sforza di leggere l'ultimo ventennio del combo mitteleuropeo come un'entità distaccata dal suo passato, evitando quindi di cercare un nuovo Keeper ad ogni nuova uscita, ci si può benissimo rendere conto che la bistrattata e variopinta armata di Weikath -chitarrista e scorbutico "padrone"- abbia saputo sfornare lavori piacevoli e di gran lunga oltre la sufficienza. Come Master Of The Rings, recupero delle radici più genuine dopo un paio di pop albums davvero troppo sperimentali per i fans metalloni; o come The Time Of The Oath e Better Than Raw, quest'ultimo probabilmente uno dei dischi più aggressivi dell'intera discografia helloweeniana. O come, e siamo ormai alle porte del nuovo millennio, The Dark Ride. Uno degli elementi più evidenti del nuovo corso intrapreso dagli Helloween con l'avvento di Deris è certamente la presenza di brani oscuri e decadenti, praticamente assenti sugli allegri episodi della Kiske-era. E allora, imbattersi nel power sinistro di brani come Escaletion 666, la potente Mirror Mirror o l'epica The Departed/The Sun Is Going Down. Quello che gli Helloween sanno fare meglio, però, sono sempre le canzoni dinamiche, energiche e intrise di melodia e fantasia a briglie sciolte: e allora via alle danze con l'opener Mr. Torture, con gli immancabili cori e il ritornello fin troppo 'facilone', o con le intense vocals di All Over The Nations, ben distribuite su un solido tappeto di doppia cassa. Il gioiellino del platter è Salvation, una grande galoppata con Deris abile a districarsi tra scenari ora misteriosi ed ora fatati. Ritornello esaltante sorretto dai cori e dal potente drum di Uli Kusch. L'assolo, lungo e sfolgorante, rientra nella tradizione della band ma si distingue particolarmente in un album dove i funambolismi chitarristici non sono estremamente straripanti. Gli ascoltatori più sentimentali si innamoreranno inevitabilmente di If I Could Fly, ballad emozionante che si propone come singolo più ricordato, a posteriori, dell'intero album. L'opera è completata da una manciata di tipiche Helloween-song, vale a dire all'insegna di elementi quali potenza, melodia, cori e grandi ritornelli. E' il caso della title track, che chiude il platter dopo la lenta e cupa Immortal. Nulla di esagerato, nulla di nuovo, sia ben chiaro. Trattasi semplicemente di un power metal da gustare senza pretese, fatto bene da gente che sa farlo bene senza più volersi (o potersi) spingere ai livelli stellari toccati a fine anni '80. Nel complesso il disco appare vario e con una discreta personalità, in cui gli Helloween passano da classiche power-song a pezzi più dolci e malinconici, attraversando lande ora dinamiche e ora cadenzate e misteriose. Non va sottovalutata, nè sopravvalutata, l'era Deris: prendetela per quella che è, l'onesto proseguio di carriera di una formazione dal passato glorioso e dal presente stabile e rispettabile. The Thrasher, 'Metallized.it'