RIFF POMPOSI, EPICA E ARMONIA. Keeper of the Seven Keys pt. I: questo album è l’inizio di un genere, l’inizio di una stile, è un passaggio obbligato per ogni metallaro che si rispetti. Senza questo album non avremmo il power 'moderno', certo, ma anche il l’Heavy Metal in generale sarebbe stato meno completo. Troviamo finalmente un gruppo che ha trovato il suo sound perfetto, cioè un Heavy Metal relativamente epico, melodico e soprattutto veloce, che mantenga però sonorità abbastanza pesanti senza scadere nel ridicolo e nella banalità che spesso il power può causare. La formazione ha trovato un cantante migliore del predecessore, lasciando quindi a Kai Hansen il compito di suonare e dando a Michael Kiske (ex- Ill Prophecy) la mansione di singer. Ed è forse questo il punto di forza di questo full lenght. La voce di Kiske è intonatissima e altissima, una delle migliori del mondo, e trova modo di esibirsi in ogni canzone. Musicalmente viene portato avanti il discorso dell’album precedente, con i soliti riff, forse più pomposi e barocchi dei precedente, assoli armonizzati e chorus forse un po’ più epici e meno cattivi e arrabbiati dei precedenti. Il disco apre con Initiaton, la solita breve apertura epica tutta tastiere e chitarre, che fa da preludio alla stupenda I’m Alive, firmata Kai Hansen. La canzone più happy dell’intero lotto, ed una delle migliori, anche. È un monumento all’ottimismo, al credere nel futuro, non perdere mai la speranza, nonostante la vita sia difficile. Già nel ritornello si hanno i brividi a sentire la spaventosa altezza vocale di Kiske. Anche a livello strettamente musicale si rimane stupiti. L’assolo è qualcosa di unico: potente, veloce, emozionante, ed è forse il migliore esempio dell’Helloween-style: suonato tutto da Kai e armonizzato in parte da Michael, senza particolari virtuosismi, ma con melodie estremamente catchy e felicissime. Segue la gioiosa A Little Time. Una canzone normale, non particolarmente eccellente ma capace di piacere, in particolare nel ritornello, coi cori sotto. Composta dallo stesso Michael Kiske, è una canzone Heavy Metal anni ’80, anche questa abbastanza catchy, senza esagerare però. Purtroppo A Little Time perde un poco di bellezza se confrontata con la seguente canzone, la stupenda Twilight Of The Gods: solo l’intro, veramente al fulmicotone, varrebbe l’intera canzone, ma anche il suo seguito è degno di nota. Una canzone epica, con un tema fantascientifico (che molto piace ad Hansen, cfr. i Gamma Ray) su dei creati da uomini, che si ribellano, combattendo e distruggendo il mondo, lasciandolo in preda ad una fantomatica “Insania”. Anche qui Kiske si fa sentire, e Kai e Weiki si prodigano in uno stupendo assolo a due chitarre, chiaramente neoclassico. Tocca a A Tale That Wasn’t Right, unico pezzo di Weikath nell’album. E purtroppo non è un bel lavoro, quello che fa: una canzone poco helloweeniana e molto sperimentale. Purtroppo è non convince molto, essendo una semi-ballad malinconica, e alla lunga diventa noiosa proprio per la sua mancanza di episodi di notevole virtuosismo o genialità. Non è una pessima traccia, ma non stupisce neppure. Ma ecco che arriva a risollevare le sorti del disco la stupenda Future World. Scritta ancora da Hansen, è la canzone migliore del disco: è già meno power è più heavy, a parte nel ritornello. Inoltre ha un testo geniale: ottimista, ma contorto e quasi impossibile. “’Cause we all live in Future World…” urla Kiske, pur facendo intendere che il presente non è certamente il meglio. È forse un invito a sperare che il mondo migliori dalla sua situazione. Da notare ancora l’assolo. Se in genere sono passaggi soltanto che fanno da preludio a soli personali, questo è un solo armonizzato continuo dall’inizio alla fine e, oserei dire, il migliore mai scritto e suonato dalla band. Ecco arrivare il penultimo pezzo dell’album, la lunghissima ed epicissima Halloween. Scritta anche questa interamente da Hansen, della durata di 13 minuti (a parte la versione del video, assai più contenuta, circa 5 minuti), essa è una cavalcata con momenti veramente strepitosi e di infinita potenza, accompagnati da parti lente o d’atmosfera con le tastiere in primo piano. Il testo è enigmatico: oltre a parlare della fatidica notte dei fantasmi, si sentono palesi richiami a passi biblici (I'll show you passion and glory, he is the snake, I'll hive you power and abudance, he's the corrupter of man): è una canzone sul male e il bene, ma con qualche enigma posto a tavolino proprio per arricchirla e darle un valore particolare. Termina il disco la brevissima Follow The Sign, un outro in chitarra, con melodie orientaleggianti, tastiere, rumori della natura ed un inquietante voce bassa di sottofondo, intenta a narrare del Keeper Of The Seven Keys, anticipando proprio un verso della title track del disco successivo a questo. Dunque si chiude così questo splendido album, ma lasciando presagire il futuro. Non è infatti solo il “part I” a far intendere che ci sarà un seguito. Si sente proprio un’incompletezza finale del lavoro: è certo un ottimo disco, però manca qualcosa. Questo qualcosa è Keeper of the Seven Keys part II…ma quella sarà un’altra recensione! IcedTears.com.