DEATH MAGNETIC (METALLICA, 2008)

IL RITORNO DEI CAVALIERI. I quattro cavalieri cavalcano fianco a fianco, compatti e solenni nel loro incedere fiero, col petto ricoperto di medaglie e qualche cicatrice. Li avevamo lasciati tanti, troppi anni fa, con quel 'Black Album' che sembrava destinato ad essere in eterno l'ultima cartuccia di energia sparata da una band che con i vari 'Kill'Em All' e 'Master Of Puppets' aveva scolpito la leggenda dell'heavy metal. Man mano che gli anni passavano, ci si rendeva sempre più conto di come l'inesorabile declino avesse ormai tagliato le gambe ai quattro di Frisco, e le speranze di un ritorno a livelli accettabili si riducevano sempre più a fioche illusioni. Ma certe volte i vecchi fuochi tornano a soffiare, e quella stessa scossa che generò i Metallica nel lontanissimo 1981 deve aver fatto di nuovo il suo corso. 'Death Magnetic' si infila nello stereo in un misto di curiosità morbosa e timore di trovarsi per le mani un'altra bufala. Ma non è il caso: l'esplosione di potenza che si sprigiona sin dalla prima canzone cancella in un colpo unico anni di critiche, delusioni, accuse e sentenze. Soprattutto, seppellisce sotto una montagna di riff arroventati i vari 'Load', 'Reload' e 'St Anger', trasportando l'ascoltatore allibito indietro di un ventennio. La tecnica feroce che corre sui riff taglienti scaglia in faccia la netta impressione di un bollente incrocio tra la foga di 'Kill'Em All' e la perizia di 'And Justice...'. Sono tornati: questa frase vi tornerà spesso in mente, ascoltando e riascoltando il nuovo classico del combo californiano. I corsi e ricorsi storici che fanno tanto sussultare i fan più accaniti dei 'Tallica si fanno sentire da subito, con l'opener 'That Was Just Your Life' che si apre introdotta da lenta melodia prima di un'allucinante scarica tellurica. Per capirci, proprio come le tracce d'apertura dei dischi capolavoro compresi tra il 1984 e il 1988. La canzone si delinea su decise e potenti accelerazioni ben accompagnate da un drum mai così presente. Ricorda 'Blackned' ed è impreziosita da un assolo isterico da restarci secchi: l'inizio è già di per se un viaggio nel paese delle meraviglie, per chi da tempo fagocitava nelle sue fantasie il tanto chiacchierato ritorno alle origini. La conferma della ritrovata grandeur non tarda ad arrivare. 'The End Of The Line' ha il riff di una di quei pezzi che ogni tanto i Metallica propinavano in sede live, con il titolo di 'New Song' o 'The Other New Song'. Irrobustita, completamente trasformata, la canzone che nasce da quelle note è un'altra prova di forza dei Thrashers della Bay Area. Rallentamenti e ripartenze battenti si susseguono e anticipano 'Broken, Beat & Scarred', la terza traccia del disco. Ancora più trascinante forse, e sempre intrisa dello stile dei Metallica degli esordi. Dopo le tre micce iniziali, arriva il singolo, 'The Day That Never Comes'. Traccia numero 4, lenta e melodica con le rullate, le ripartenze e i picchi rabbiosi che la accendono nel finale: altro amarcord, proprio come 'Fade To Black', 'Welcome Home' e 'One'. Proprio quest'ultima è molto vicina all'attuale discendente, date le tematiche relative al ruolo dell'elemento umano nel contesto drammatico di una guerra. La metà dell'album coincide col capolavoro, 'All Nightmare Long', un qualcosa di straordinario che va a piazzarsi da subito al fianco degli storici cavalli di battaglia. L'introduzione misteriosa è presto arroventata dai riff laceranti che vengono esplosi a velocità disarmante, con l'incalzare di cambi di tempo e atmosfere. Prestazione fantastica dell'inossidabile James, che ci regala una song davvero travolgente. Una song che ha sprazzi di 'Damage Inc', ancora pregna dei classici riff spezzati, e della foga martellante di un Lars Ulrich mai così completo e dedito alla doppia cassa! La successiva 'Cyanide' mantiene alti gli standard dell'album, con un ritornello accattivante e un mega assolo piazzato a fine brano. 'The Unforgiven III' è il sequel delle due celebri ballate degli anni'90. Ma se i primi due capitoli della saga erano musicalmente molto simili tra loro, questo ultimo episodio se ne discosta alquanto, pur senza perdere in emotività e passione, scaturite più dalla prova di HetfieldGod che dalla musica. Rabbia e cattiveria si esaltano irrefrenabili anche nelle conclusive 'The Judas Kiss' e 'My Apocalypse', inframmezzate da una buona strumentale ('Suicide & Redemption') che, come ai tempi di 'Orion' e compagne, è scandita da un tosto refrain iniziale successivamente alternato ad una vertiginosa parte melodica centrale. In particolare 'My Apocalypse' esprime una furia ed una potenza devastanti, stagliate con ferocia schizofrenica su un velocissimo spartito di riffs e martellate debordanti. Il pregio più bello di quest'album è quello di scatenare un headbanging naturale fin dal primo ascolto: come se fosse già intrinseco nel dna di chi fa dei Metallica la propria bandiera, 'Death Magnetic' viene assimilato all'istante da questi ultimi, andandosi ad affiancare ai classici immortali del combo americano. Finalmente tornano a farla da padrone assoli di livello assoluto, che Kirk Hammett sforna con una maestria ed una partecipazione forse ancor più elevate rispetto agli anni d'oro; di certo la batteria oscena sentita su 'St Anger' è stata depennata, a scapito di uno stile assolutamente devastante rispetto agli antichi canoni del buon Lars. L'opera è completata dalla partecipazione di Robert Trujillo (al primo studio album con la band) e, ovviamente, dalla solita grandissima performance di James e della sua voce inconfondibile. Il voto all'album merita una considerazione: è un'opinione a se stante, non vuole dire che è meglio o peggio di questo o quel vecchio lavoro della band. I Metallica sono dunque tornati, e quando i Maestri scendono in campo non ce n'è più per nessuno!