PANTERA, POST THRASH DA LEGGENDA. I Pantera hanno una storia lunga e che affonda le sue radici negli anni '80, cosa che pochi sanno. I Texani, negli heighties proponevano una sorta di street glam, prima di evolversi in uno US Power d'assoluto livello con la pubblicazione di Power Metal; un album al quale parteciparono i musicisti componenti la line up che ad oggi è ritenuta storica dai fans e dalla stampa specializzata: quella cioè formata da Phil Anselmo, dai fratelli Abbott ( Vinnie e Darrel) e da Rex Brown. Il sound si andò sicuramente a irrobustire, ma è con Cowboys From Hell, qui oggetto di recensione, che i Pantera fanno finalmente e meritatamente il botto. I 4 Texani, con questo platter intraprendono una decisa virata verso suoni più corposi e si buttano in un thrash metal di altissimo livello coniando quello che verrà definito a posteriori Post Thrash, ovvero una musica pur sempre contraddistinta da stop&go, chorus incisivi e musica aggressiva, però segnata da un modernismo dato da riff stoppati e accordatura ribassata. E' l'inizio di una nuova era e la fine di un'altra gloriosa. Per alcuni i ragazzi capitanati da Anselmo hanno ucciso thrash & heavy causa la nascita di movimenti giudicati di poco spessore artistico, per altri invece è stato un prolungamento ed un rifiorire di un sound altrimenti destinato ad una morte precoce. Chi ha ragione? Beh il consiglio migliore in questo caso per farsi un'idea è quello di ascoltare e valutare, da par mio trattasi di uno dei gruppi più fondamentali della storia del metallo pesante, band dallo spessore live incommensurabile grazia alla verve fuori dal comune e a musica molto ispirata. Questo lo si può dedurre analizzando il disco in questione fin dal suo incipit affidato alla title track Cowboys From Hell, canzone dall'appeal molto accattivante da cui si intuisce già il trademark del combo americano: suoni corposi, voce incalzante e feeling che immediatamente viene a crearsi con l'ascoltatore. E' la track più easy listening del lotto ma non per questo scricchiolante, anzi trattasi di un assoluto classico. La successiva Primal Concrete Sledge dà lo spunto per la prima vera e propria mazzata sul costato: i ritmi sono sostenutissimi e batteria, basso e chitarra viaggiano di pari passo nella ritmica della strofa costituita da stoppati perfetti ed il break nella seconda parte conferisce quella varietà che rende il tutto godibile. Psycho Holyday è sorretta da un corposo riff lento quanto incalzante e da una continua alternanza con altri in controtempo scanditi da Vinnie Paul qui veramente in grandissimo spolvero. La qualità eccezionale la si può constatare una volta di più anche dalla quarta song, Heresy, a parere di chi scrive sicuramente tra le migliori del full lenght: continue cavalcate forsennate e trascinanti, un Anselmo dalla voce una volta di più perfetta grazie ai suoi splendidi scream... Trattasi forse del pezzo più thrash oriented tolta la base ritmica su cui si dipana il tipico assolo "fischiato" di Darrel. A seguire ci si imbatte in quella che probabilmente è una delle canzoni, al pari di Walk, più conosciuta ed amata da fan e non, mi riferisco a Cemetary Gates: una delle ballad più splendide del metal tutto, costruita su un arpeggio davvero perfetto in ogni sua nota e impreziosita dalla prova struggente di Phil; in sede d'assolo nella sua seconda parte si assiste al duetto tra Darrel ed il singer, con imitazione del solo vocalmente proposto in botta e risposta: un qualcosa di veramente eccezionale. Con Domination, aperta da un bel 'Motherfucker', si parte subito sparati per poi passare al classico stoppato Panteriano ed è un continuo alternarsi di sfuriate da carneficina al riffone precedentemente descritto. Anselmo qui sfoggia una voce veramente incazzata come poche...in parole spicciole un Assalto sonoro, come lo è anche la seguente Shattered: decisa, veloce e accattivante, qui possono trovarsi anche reminiscenze e del loro antico trademark e delle loro influenze extra thrash ovvero, per le scelte vocali, il priestiano Rob Halford. Clash With Reality continua in maniera pressochè invariata la linea concettuale della precedente inanellando l'ennesimo pezzo di grande livello, grazie anche al perfetto connubio tra vecchio & nuovo (ovvero le classiche cavalcate che hanno caratterizzato sinora il dischetto); l'evoluzione della track porta ad una sequenza di accordi e di controtempi veramente di pregevole fattura e ad un muro di suoni ottimamente realizzati per poi sfondare nella classica delle sfuriate finali da headbanging automatico. Se finora ci si è trovati a descrivere semplicemente capolavori, a mio avviso le ultime 4 tracce segnano un mezzo passo indietro che vanno sensibilmente ridimensionando il contenuto e la valutazione globali di Cowboys from Hell: sia chiaro, non si tratta di passi falsi, anche perchè la presenza di Medicine Man e della finale The Art of Shredding soprattutto, farebbero la fortuna di un qualsiasi platter laddove venissero inserite, ma se si considera quanto proposto sin qui il discorso prende altra forma. Ad ogni modo il giudizio finale è solo uno: Capolavoro da avere per chi ama il metal estremo ed a tinte moderne.