ACE OF SPADES (MOTORHEAD, 1980)

UN CAPOLAVORO DI STREET METAL. Agli occhi di chi legge potrebbe sembrare paradossale, ma il ruolo del recensore di un disco come “Ace of Spades” non è per niente banale. Mi trovo infatti nella non facile posizione di dovervi parlare di questo disco, cercando però di non ripetere quanto già detto in mille altre occasioni da altrettante persone diverse. Come tutti ben saprete, quando si parla di “Ace of Spades” si nomina il disco più importante e rappresentativo dei Motörhead e probabilmente uno dei colossi più famosi di tutto il movimento Heavy Metal. Da non crederci però, come sia nato in un fazzoletto: pensato e prodotto in un niente. In soli 9 giorni, dal 4 al 15 di Settembre del 1980, viene infatti registrata l’opera omnia della band inglese, in barba a tutte le convenzioni che dicono che i grandi capolavori debbano essere partoriti dopo una lunga e ponderata gestazione. “Ace of Spades” si colloca anch’esso in pieno periodo NWOBHM ed è evidente, forse più che in ogni altro disco del combo d’oltremanica, l’influenza che questo movimento ha avuto sulle produzioni dei Nostri. Si rimane sempre a qualcosa di molto accennato, di offuscato perché in ogni caso si è lontani anni luce dal New Wave style vero e proprio, già però dalle “amicizie” che la band consolidò (di cui parleremo più avanti), lascia intendere come Lemmy e soci non vedano questa nuova corrente con occhio maligno. I Motörhead, con questo LP, vollero presentare al loro pubblico un disco di fresco e divertente Street Heavy Metal, anche se, rispettando i tradizionali stilemi Motorheadiani, non è possibile dare una collocazione precisa al sound di questo disco. La band stessa odiava e tuttora odia le classificazioni, per cui non sarò certo io il primo che si cimenterà in questa ardita avventura. L’ elemento caratterizzante di questo grande studio album è però la evidente ispirazione Western che balza all’ occhio fin da subito: già in sede di artwork, i tre sono agghindati come ladri di cavalli del Far West o qualcosa di simile. Fu questa una grande innovazione, che la band esplorò per prima e che per prima propose anche sul palco. Nel tour che ne seguì, infatti, i Tre Inglesi si presentavano sulle platee di mezzo mondo vestiti da cowboys e indossando cinturoni pieni di proiettili. Nel corso della fine del 1980 infatti, i Motörhead divennero, come lo stesso Lemmy ammise, dei veri e propri road dogs, dando vita ad una tournè lunghissima che li portò a concludere proprio a Londra, nel famosissimo Hammersmith Odeon, dal quale la band trasse anche una delle sue più famose testimonianze live: “No Sleep ‘Til Hammersmith”. Un aneddoto abbastanza squallido riguarda proprio il tour di “Ace Of Spades”: infatti proprio in quel periodo Philthy si ruppe diverse vertebre cadendo, ubriaco, da una lunga rampa di scale e cavandosela con qualche mese di riposo ed un tutore al collo, anche se la versione ufficiale data dalla band è tuttora un’ altra... Nonostante ciò, questo fu un periodo molto fortunato per i Motörhead: il disco fu un successo assoluto e da subito balzò al quarto posto delle classifiche inglesi. Inoltre, nel giorno di San Valentino dell’ anno dopo, con la benedizione della sempre vigile Bronze Records, si sancì la collaborazione fra i Nostri e la NWOBHM all female band delle Girlschool, per suonare assieme una rivisitazione di un pezzo originariamente di Johnny Kidd and The Pirates: “Please Don’t Touch”. In “Ace Of Spades” c’è davvero tutto ciò che un heavy metal fan possa desiderare, ma c’è soprattutto la nitida sensazione, ascoltando questo LP, di trovarci a stretto contatto con l’acre odore di catrame dell’ asfalto americano, mischiato al grande feeling Western che questo disco porta in dote. Un sound comunque sia sempre fresco e frizzante, un’ispirazione d’altri tempi per il Trio inglese che in questo disco sublima le già evidenti qualità dimostrate col precedente capolavoro “Overkill”. L’onore di aprire il sipario lo ha la title track, per la quale sono finite le parole utilizzabili che non facciano rima con “ridondante”. Mi limito a dire che siamo davanti alla più famosa ( e per molti la più bella ) canzone mai prodotta dai Motörhead, pezzo fortunatissimo che ha segnato profondamente la carriera e che ha permesso alla combriccola di Lemmy di identificarsi totalmente in esso. Grandissimo appeal del refrain, complessivamente fra i primi 3 nella storia per quanto riguarda l’ aspetto squisitamente storico. Niente da aggiungere: ha fatto epoca. Le successive due, “Love Me Like A Reptile” e “Shoot You In The Back” ricalcano in pieno il solco mostrato dalla precedente title track, digrignando i denti specie nel caso della seconda, nella quale trovo certamente maggiore violenza. In senso lato, ovviamente. Ottimo il lavoro di Eddie alla chitarra, com’è grande anche la prova di Phil dietro le pelli. Queste due c’introducono ad un’altra grande hit di questo “Ace Of Spades”, oltrecchè la mia preferita del disco: “Live To Win”, song che interpreta in maniera più evidente la corrente NWOBHM di cui poco sopra si faceva menzione. Lunghissimi riffs all’ acciaio e groove molto rock ‘n’ roll sono gli ingredienti di questo spumeggiante brano nel quale il soprannome di Eddie, “Fast” si giustifica tutto. Il riffing di questo pezzo è forse il migliore mai composto dai Motörhead, e Clark stesso ci delizia con un’esibizione spettacolare, ed anche se la velocità non arriva mai a picchi eccessivi, la forza di questo pezzo è probabilmente nella grande performance di chi è alla 6 corde, nella fattispecie il nostro caro amico Eddie. Per trovare un’ altra immensa hit non bisogna fare troppa fatica, basta arrivare ( skippando volutamente la pur molto bella “Fast And “Loose” ) allo slot numero 6 della tracklist, ovvero “( We Are ) The Roadcrew”, pezzo dall’ andamento apparentemente claudicante, ma che sprigiona poi una carica che non teme avversari, ottima la prova al basso di Lemmy che come al solito svolge il suo in maniera più che egregia. La non ispiratissima “Fire Fire” fa da buon apripista per un’ altro successo dei Tre Cowboys inglesi, “Jailbait”, altro pezzo di accennata matrice NWOBHM, in cui melodia e velocità si fondono in un connubio perfetto, dando vita ad un ibrido colossale. Ottimo il cupo riffing di Eddie, accompagnato in modo sicuramente soddisfacente dalla batteria di Taylor. Gran pezzo anche questo. Vorrei evitare inutile demagogia o populismi vari, commentando questo disco. Tutti sanno quanto sia fondamentale e quanto esso abbia significato per l’ educazione musicale di ogni heavy metal fan. Dicendo che ogni buon appassionato dovrebbe averlo nella sua collezione è probabilmente un’ ovvietà, ma “repetita iuvant”, e quindi, anche secondo me, ogni persona che si ritenga amante di questa musica, ha come must quello di possedere quest’ album, unico nel suo genere, e che incorona i Motörhead nell’ Olimpo dei grandi di sempre. Per restarci in eterno.