METALLICA, L'APICE TECNICO. L'anno 1986 per i Metallica era stato un tornado di avvenimenti, un viaggio scavezzacollo attraverso un turbine di picchi positivi e altri terribilmente negativi: l'uscita del monumentale 'Master Of Puppets' aveva segnato l'apice della grandezza della band, certo, ma la morte incidentale di Cliff Burton aveva rischiato di mandare al diavolo tutta una carriera. I thrashers californiani però non demordono, ingaggiano Jason Newstead al basso e si risiedono attorno ad un tavolo per mettere ancora una volta la violenza in musica. Nasce così, dal dolore per la perdita di un caro amico, 'And Justice For All', immersione coraggiosa nel claustrofobico mondo della giustizia. Un manifesto aperto che inneggia alla libertà e al rispetto dei diritti, denunciando la guerra e ogni altra subdola forma di veleno che ci viene quotidianamente somministrato. I ritmi battenti di 'Blackned', introdotta da un inizio lento melodico (come per le precedenti opener 'Fight Fire With Fire' e 'Battery'), aprono l'album sputando in faccia all'ascoltatore una storia terrificante, che parla della distruzione della Terra e della razza umana, e di una nuova era glaciale dovuta ad una guerra nucleare. E' uno dei pezzi più veloci della band, traccia di cui colpisce la grande maturazione di Lars Ulrich dietro le pelli rispetto ai lavori precedenti: la tecnica e la robustezza batteristica soppiantano lo stile più grezzo e istintivo dei lavori precedenti, regalando un sound ancora più possente al disco. La lunghissima title track denuncia la corruzione del sistema giudiziario americano (e non solo), aprendosi su un arpeggio armonico prima di un crescendo di battiti che fanno "esplodere" la song nella parte centrale della strofa. Pur difettando lievemente nella qualità della registrazione, l'album si presenta alla storia come il più tecnico dei Metallica: i 4 cavalieri dimostrano di aver raggiunto una perizia compositiva-pratica di buon livello pur mantenendo livelli elevatissimi di aggressività e pesantezza del suono, e lo stesso Hetfield sfrutta la sua voce in modo più compatto e vario. Non sono in pochi a ritenerlo la prova migliore per il singer americano. 'Eye Of The Beholder' esamina la libertà di scelta, spesso censurata a favore delle scelte che gli altri ci fanno compiere: è una canzone molto sottovalutata, come molte altre del resto, in questo album che non sempre raccoglie i tributi che merita. Il ritmo funereo, cadenzato e tritacervelli, lascia presto spazio a 'One', uno dei capolavori immortali della band. Una ballata atroce che innesca, tra spari ed esplosioni, un ritmo malinconico che incalza nel finale: proprio come 'Fade To Black' e 'Sanitarium', le altre "lente" dei dischi precedenti (sempre collocate come traccia numero 4). 'One' parla di una storia vera, quella di un ragazzo americano partito per la II guerra mondiale come volontario ma rimasto cieco, muto e privo di tutti gli arti: costretto a vivere collegato ai macchinari e senza poter nemmeno chiedere che gli venga staccata la spina dell'ossigeno. 'One' è una delle canzoni più amate dai fan, e non manca praticamente mai nei concerti. Le frustate soffocanti di 'Shortest Straw' raccontano dell'ingiustizia subita daJulius ed Ethel Rosenberg, condannati alla sedia elettrica con l'accusa di essere spie sovietiche solo perché simpatizzanti comunisti. Altro pezzo storico della band è l'ambigua 'Harvester Of Sorrow'. Un pezzo di interpretazione davvero ardua, visti i molteplici significati che vi ci si possono leggere. Alcuni pensano parli di un uomo che, drogato e alcolizzato, tortura i suoi cari prima di ucciderli; altri pensano si riferisca ad un rapporto difficile tra James e suo padre, mentre altri ancora parlano di una canzone incentrata su schiavitù, aborto e istigatori del male. Infine c'è chi pensa si tratti del genocidio degli ucraini ai tempi dell'URSS, quando i russi si appropiavano dei loro raccolti. La canzone si delinea truce e molto pesante, certamente non veloce: caratteristica questa di divere tracce di 'And Justice...', che infatti non è propriamente classificabile nel filone thrash ma in un più ampio contesto esclusivamente molto heavy. 'To Live Is To Die' è un'immensa composizione strumentale dedicata a Cliff Burton, di oltre dieci minuti di durata. Scritta partendo da versi vergati proprio dalla mano di Cliff, ha una parte centrale in cui James recita i versi di una breve poesia sul mistero dell'esistenza scritta dallo stesso bassista prima della sua triste fine. La conclusiva 'Dyers Eve' è un altro piccolo gioiello troppo spesso dimenticato: velocissima ed elettrizzante, riporta i Metallica al loro thrash più scoppiettante parlando di come un giovane uomo (probabilmente James) rinfacci ai bigotti genitori tutte le sofferenze che le loro imposizioni gli hanno creato credendo di proteggerlo ma in realtà isolandolo. Cruenta, cattiva, rapidissima: 'Dyers Eve' è la ciliegina finale sul disco, un suggello che ribadisce che la corona del thrash è ancora salda sulla capoccia di un combo che però, se vuole, sa spaccare il culo anche senza fare del thrash.