Iron Maiden. Un nome che fa tremare i polsi, un'icona conosciuta e rispettata dentro e fuori gli orizzonti dell'hard'n'heavy: gli Iron Maiden sono spesso accostati all'heavy metal come incarnazione stessa del genere, e anche se ciò è dovuto al pressapochismo di chi ignora l'esistenza di centinaia di altre band, non bisogna sottovalutare questa semplice equazione. Bisogna essere fieri del prestigio che gli Iron Maiden rivestono praticamente in ogni angolo del globo: le t-shirt di Eddie e gli album che hanno dettato la storia di un genere hanno reso possibile il riconoscimento umano di band metal per antonomasia, ancor più di chi il genere lo ha plasmato o di chi lo ha portato a conseguenze sonore estreme. La melodia eccitante e i volti rassicuranti di Bruce Dickinson, Steve Harris e compagni sono oggi la sintesi perfetta dello spettacolo heavy metal, ed è affascinante pensare alla Vergine di Ferro come fenomeno di punta dell'intero filone ai tempi delle sue origini, quando il nome Iron Maiden suscitava sussulti di rispetto e ammirazione nei cuori degli headbangers. E' tuttora un mistero come una band heavy metal abbia saputo raggiungere una simile popolarità, forte di stima e rispetto indiscutibibili tra le leggende immortali della musica. Tutto inizia nell'Inghilterra di fine anni settanta, quando il fenomeno punk pareva aver fatto le scarpe all'heavy metal reso grande da Black Sabbath e Judas Priest. Poi, arrivarono loro. Rifiutarono di suonare punk e abbassare la testa, i Maiden. Adolescenti ma già con le idee chiare, che attraverso potenti riff, assoli melodici ed heavy metal energico ammutolirono i detrattori e riportarono in auge il proprio genere, scatenando delle emozioni indimenticabili ancora oggi. L'escalation fu irreversibile, la mascotte Eddie divenne un mito e dopo i primi due album iniziò una galoppata fantastica verso la storia: pagine monumentali di musica bella e potente, intrisa di melodia e tecnica sublime. L'enorme merito degli Iron Maiden è quello di aver afferrato l'heavy metal per mano ed averlo riportato a livelli stellari, impregnandolo di una dinamicità musicale e attitudinale nuova e sferzante, capace di ammodernare il già luminoso sentiero tracciato dai Judas Priest. Un'eredità non da poco. Gli Iron Maiden nascono a Londra nel 1975, fondati dal bassista Steve Harris, che per il nome prese spunto dal film 'La maschera di ferro', in cui compare un attrezzo di tortura chiamato appunto vergine di ferro. Inizialmente alla voce c'è Paul Day, ma prima del debutto discografico l'act cambia diverse formazioni; pur influenzati dal punk, i ragazzi di Steve Harris suonavano già un heavy forte e tecnico, trovando dunque fatica a emergere in un panorama sommerso dal fenomeno punk. Gli Iron Maiden colsero l'occasione della vita quando iniziarono ad esibirsi al Ruskin Arms, uno dei pochi locali dove si suonava heavy metal. Qui fece una delle sue prime apparizioni Eddie, il mostro che sarebbe diventato la mascotte della band: una testa di zombie inizialmente dipinta che in seguito troverà forma in giganteschi e pittoreschi pupazzoni. Con gli anni, alla voce arrivò Paul di Anno, e la band compose un primo demo e canzoni come 'Prowler', 'Sanctuary' e 'Iron Maiden'. Questo demo, intitolato 'The Soundhouse Tape', destò enorme successo nell'unica discoteca metal di Londra, il Soundhouse appunto: gli headbangers locali chiedevano frequentemente la riproposizione di quel nastro scoppiettante, e l'attenzione dei discografici si spostò di colpo su quei ragazzi tanto determinati ed interessanti.
Messi sotto contratto dalla EMI, i giovani metallers si chiudono in studio per rifinire le proprie canzoni e completarle con nuove tracce. Nel 1980 esce finalmente il primo lavoro della Vergine di Ferro, intitolato proprio 'Iron Maiden', che riscuote subito buon successo. L'album è caratterizzato da un suono molto grezzo e fresco, soprattutto nei timbri utilizzati dalle chitarre. Benché il disco abbia tutte le limitazioni e le logiche inesperienze di un album di esordio, rappresenta comunque un'importante tappa della nascente New Wave of British Heavy Metal. Le sue melodie rocciose e i riff mozzafiato sono da pelle d'oca, e rendono alla grande l'idea di quello che i Maiden erano all'epoca: portatori di un heavy metal esplosivo, vivace, robusto ma con quella spruzzata di punk che lo rendeva ancora più tosto, veloce, innovativoì, nonostante l'ancora palese influenza di matrice hardrock. Di fianco a pezzi energici, diretti e dal riff memorabile come l'opener track 'Prowler' e la conclusiva 'Iron Maiden', autentico inno della band, figurava un brano intricato, lunghissimo e funambolico come 'Phantom of the Opera'. Il tutto era arricchito dalle esaltanti 'Sanctuary' e 'Charlotte The Harlot', dure e intrise di un vivace rockmetal. Presenti anche due ballad dolcissime, per non farsi mancare nulla: 'Remember Tomorrow', dotata però di crescendo finale roboante, e 'Strange World', più struggente ed onirica. Il responso fu strepitoso, e lo stesso Paul Di Anno ne conserva un giudizio entusiasta: 'E' stato il miglior disco che abbia mai fatto con i Maiden, senza dubbio. Personalmente non penso che il secondo album abbia rappresentato un miglioramento: la gente va avanti a parlare della produzione, ma io nemmeno. Tutto ciò che senti é la band che suona, io che canto e quanto sono grandiosi i pezzi. Sono convinto che la vena punk degli Iron Maiden in quel disco fosse al top: le canzoni erano grezze, ruvide, violente, e amo esaltarne questo aspetto. Eravamo completamente diversi da tutto il resto, e il nostro primo album lo confermava; i nostri fans, allora come oggi, avevano un'attitudine diversa da tutti gli altri, ci seguivano ovunque. Era un maledettissimo disco punk metal'. Nei loro primi tour gli Iron Maiden già entusiasmavano le folle: viaggiarono a lungo, accompagnando Judas Priest e Kiss e facendosi presto conoscere ovunque, grazie alla voce sporca e l'attitudine grezza del singer Paul Di Anno. Di Anno era un ribelle dalla forte personalità, la voce ideale per gli Iron Maiden dell'epoca; tuttavia a volte esagerava con le sue follie, soprattutto alcooliche, e ciò portò in seno al gruppo qualche frizione. Tra altri mutamenti di formazione, si arrivò nel 1981 alla pubblicazione di 'Killers', di ancor miglior fatturato tecnico e produttivo. Nonostante la presenza di qualche brano non trascendentale, il disco viaggia spedito trainato dalla titletrack e dalla potente 'Wratchild'. In quel periodo gli Iron Maiden andarono incontro a crescenti dissidi con Di Anno. Harris lo accusò di rovinare la propria voce e la propria vita con l'abuso di alcool, droghe e fumo, e dopo vari scontri lo licenziò.

Gli Iron Maiden si mossero alla ricerca del nuovo vocalist, e la scelta fu fatta assistendo alla strepitosa esibizione concessa dal cantante dei Samson, Bruce Dickinson. Una autentica furia sul palco: elettrico, spettacolare, dotato di una forza vocale pazzesca. Dickinson entrò negli Iron Maiden e presto il gruppo pubblicò 'The Number Of The Beast', disco caratterizzato da nuovi elementi sonori power metal oriented: un sound più ricco e vario, impreziosito dalla grande tecnica vocale di Bruce. È un lavoro dal sound potente e meno irruento rispetto ai precedenti album, ma che esibisce la creatività di Steve Harris e di tutta la band. Trame strutturali intricate, potenti ed ultra melodiche sezioni strumentali che si divincolano tra riff maestosi e refrain travolgenti, una coordinazione d'esecuzione tra i vari membri assolutamente ottima, una grande intesa col nuovo cantante: Dickinson mostra in tutte le tracce la pienezza e la costanza della sua voce invidiabile. Uno dei più grandi album della storia del metal: ne è un chiaro esempio la titletrack, col suo riff leggendario ed il suo incedere ora misterioso e poi di colpo travolgente, innervato dalla prestazione monstre del singer e da uno degli innumerevoli assoli cristallini della coppia d'asce composta da Smith e Murray. A fare rumore è la ripetizione nel ritornello del presunto numero della Bestia: anche se il brano non fa che parlare di un incubo fatto da Steve Harris, quel presunto riferimento satanico muove la schiera protestante dei perbenisti e dei bigotti moralizzatori cattolici, come ricorda Steve Harris: 'Non abbiamo mai composto canzoni romantiche. Tutti scrivono di quanto amano la propria 'piccola', e tutta quella roba lì. Scrivono di quanto sia dura la vita on the road, ed è vero, di quanto si sentano soli, che può essere vero allo stesso modo; a loro manca il loro amore, con cui vorrebbero tanto stare, e tutto il resto. Ma trovo queste cose piuttosto noiose. Non penso di non possedere in me un pò di romanticismo, ma semplicemente non mi interessa scrivere di queste cose. A differenza di altre band, a noi non interessa neanche focalizzare i versi del gruppo sulle esperienze personali. Un'altra tematica su cui molti scrivono é l'essere macho e conquistare molte ragazze, ma tutto quello che i Maiden hanno scritto su questo genere di cose è Charlotte the Harlot ed Acacia Avenue, che sono pezzi molto diretti. E' un modo per dire alle altre band che siamo in grado di andare oltre quelle cose. Ed é piuttosto divertente! In molti dei nostri brani c'é un umorismo che spesso non viene colto, o viene mal interpretato. Questo é vero sopratutto in The Number of The Beast, che ha un soggetto che molti fautori della persuasione biblica hanno preso troppo seriament. Abbiamo incontrato dei maniaci o dei fanatici religiosi, nell'America del Sud qualche idiota urlava 'brucia all'inferno, brucia all'inferno' mentre la band scendeva dal palco. Se solo si fossero soffermati sui testi del disco, avrebbero avutoben pochi motivi per accusare la band. E' stato pazzesco! Ovviamente nessuno li aveva letti. Ancora oggi scoppiamo a ridere quando ci accusano di satanismo'. L'effetto ottenuto dai censori, infatti, fu proprio l'opposto di quello voluto, perchè il clamore destato da quel ritornello blasfemo non fa che accrescere il fascino degli Iron Maiden e accrescere l'aurea maligna dell'heavy metal in generale, nonostante il brano derideva i rituali satanici invece di appoggiarli. Altro pezzo colossale del platter è la marziale 'Hallowed Be Thy Name', potentissima e solenne, ancora impreziosita de evoluzioni tecniche e melodiche da capogiro, rallentamenti e accelerazioni, stacchi maestosi, una sezione strumentale intricata di rara bellezza. La scaletta è ricca di canzoni assolutamente perfette, ricche di intuizioni melodiche pulite ed irripetibili, come 'Acacia Avenue', seguito lirico e tematico della vecchia 'Charlotte The Harlot', oppure 'The Prisoner', entrambi pezzi caratterizzati da fantastici guitar solos. Steve Harris e Nico McBrain reggono una sezione ritmica mai banale e sempre perfetta, mentre le chitarre di Adrian Smith e Dave Murray si rendono autrici di pura energia che cola piacevole sulle teste degli headbangers in delirio. Tra le hit assolute spicca un inno come 'Run To The Hills', ancora oggi uno dei pezzi più amati dai fans, con l'ennesimo assolo da brividi e le incalzanti parti vocali: un classico basilare in ogni live set.

I Maiden hanno fatto il botto: le lauree in storia e letteratura di Dickinson permettono al combo inglese di spostare l'obbiettivo su tematiche interessanti e assolutamente colte, riferite ad avvenimenti storici, poemi, romanzi e celebri monumenti letterari. Racconta Rob Halford, leader dei Judas Priest: 'Dopo la nwobhm, quel disco dimostrò veramente che gli Iron Maiden erano diventati una potenza mondiale, globale. Il titolo è magnifico, e mostra un altro lato del metal che stava uscendo dal Regno unito. E’ importantissimo per definire il movimento britannico dell’epoca. Ci sono delle risorse importanti nel metal, come in tanta parte della musica, e questa era abbastanza importante’. E' con questo disco che gli Iron Maiden si fanno definitivamente alfieri e portabandiera delle milizie dell'heavy metal. Un album del valore tecnico di 'The Number Of The Beast' mette ulteriormente in primo piano la maestria degli Iron Maiden nell'arrangiare emozionanti fraseggi di chitarra assieme alle vocals teatrali; i due chitarristi attaccano a briglie sciolte, martellando l'ascoltatore con sezioni intricate sulle quali inserire dei complementi armonici ed una raffica di complessi giri melodici. Le veloci progressioni di chitarra all'unisono diventano l'inconfondibile tratto distintivo della band, raddoppiati dalla potente sezione ritmica guidata dall'eccezionale basso di Steve Harris. Come sempre e più di prima, i concerti degli Iron Maiden erano spettacoli pirotecnici travolgenti, vortici di luci, colori e suoni, fuochi e sceneggiature teatrali grandiose. E poi, con quel campione del palco di Bruce Dickinson, maestro nel brillare come un gigante, il successo era scontato. Bruce coinvolge il pubblico, sa elettrizzarlo solo con un gesto. Tra un tour e l'altro, senza nemmeno preoccuparsi delle ridicole accuse di satanismo giunte dai soliti perbenisti, i Maiden si presero un periodo di pausa meritata alle Bahamas, nel quale ricaricare le pile e porre le basi per una pagina tutta nuova nell'epopea della band.
In questo periodo furono gettate le fondamenta di 'Piece Of Mind', pubblicato nel 1983 e caratterizzato da un sound meno massiccio e con brani più melodici e complessi, bagnati da una certa influenza progressive-rock. Laureato in storia e letteratura, Bruce Dickinson componeva brani colti e di matrice storica, come ad esempio 'Flight Of The Icarus', brillando dunque anche in fase di produzione oltre che in studio e nei soliti, giganteschi, concerti. L'album ebbe molto successo, e la trascinante 'The Trooper' entrò presto nella top gallery della band. L'anno seguente la band ribadì il suo stato di grazia con l'ancor più memorabile 'Powerslave', un ritorno a suoni più duri e con la stessa attenzione storica che Dickinson mantenne nella composizione. Il trio d'asce composto da Smith, Murray ed Harris conferiva una dimensione stratificata al suono già vario ed esplosivo del five pieces, innervato da pure scariche elettriche di energia e stratificate architetture strumentali; e mentre Dickinson correva da una parte all'altra del palco come un indemoniato, dietro le pelli il sornione McBrain teneva il timone di una band in forma stellare. 'Powerslave' porta a compimento l'evoluzione della band, che si era manifestata palese nei due dischi precedenti e che ora trova la sua consacrazione assoluta, con un album mastoso in cui spiccano le melodie brillanti delle due chitarre gemelle ed i loro virtuosismi intricati. Il successo degli Iron Maiden cresceva in modo implacabile, e la band si tuffò a capofitto in un tour enorme da un capo all'altro del globo. Tutto l'album, a cominciare dalla copertina, è ispirato alla civiltà egizia e ad avvenimenti storici: esso contiene episodi magistrali come 'Two Minutes To Midnight', una traccia dinamica di stampo hardrock trainata da un riff azzeccato e inconfondibile, oppure la travolgente 'Aces High', pezzo potente e tambureggiante dal ritornello melodico e dotato di un attacco frontale trascinante posto in incipit. 'Aces High' apre ancora oggi ogni concerto della Vergine di Ferro. L'oscura titletrack 'Powerslave' riassume bene il notevole spessore tecnico e melodico della band, rafforzato dal taglio progressive di 'Rime Of The Ancient Mariner', pezzo di estrazione letteraria ispirato da un romanzo di Coleridge. Grazie a questa uscita gli Iron Maiden godevano ormai di un seguito di fans considerevole ed affezionato; strepitoso fu il lungo tour di supporto all'album, corredato dal virtuosismo tecnico dei musicisti così come dagli spettacolari effetti scenici: da leggenda la scenografia egizia con Eddie mummificato. Bruce Dickinson era il sicuro ammiraglio di una truppa d'assalto perfetta e spettacolare, con le sue corse sfrenate sul palco, la sua voce imponente e la sua goliardia travolgente: gli Iron Maiden sul tetto del mondo.
Nel 1986, ben riposati e rigenerati, gli Iron Maiden tornarono con 'Somewhere In Time', sempre fedele ai recenti stili influenzati dal progressive per quanto concerne la struttura elaborata dei brani, ma parzialmente contaminati da suoni sintetizzati ed effetti elettronici. Spiccano pezzi come 'Caught Somewhere In Time', l'emozionante 'Wasted Years', 'Stranger in A Strange Land'. Ancora una volta in primo piano erano le melodie di chitarra di Adrian Smith e Dave Murray: le evoluzioni delle due asce, cristalline e rapide all'unisono, sono un marchio di fabbrica inconfondibile del Maiden-sound, assieme alle celebri galoppate, e qualche synth in più non potè in ogni caso intaccare la splendida riuscita della nuove release. Le esibizioni del gruppo erano come al solito stellari, dense di luci ed effetti pirotecnici incredibili, che accatturavano folle impressionanti. L'album diventa subito un altro superclassico del gruppo, anche se non mancarono fans che storsero il naso di fronte ad un'innovazione come quella delle tastiere, accettata con qualche remora. Dopo due anni di concerti, nel 1988 uscì 'Seventh Son Of A Seventh Son', caratterizzato da uno stile ancora più melodico e orientato verso tecnicismi alla soglia del progressive metal, per perizia tecnica e taglio melodico; pezzi trainanti dell'album erano 'Infinite Dream', 'Can I Play With Madness', 'The Evil That Man Do' e 'The Clairvoyant', un capolavoro di musicalità e precisione stilistica. Solenne la title track, altrettanto esaltante ed intricata 'Deja Vu'. L'album era meno aggressivo e permeato da una certa vena epica e malinconica, e vede un Bruce Dickinson più aspro al microfono.
Molto meno successo ebbe, nel 1990, 'No Prayer For The Dying', nonostante un ritorno a stili più duri e privi di sintetizzatori, e nonostante buoni pezzi come 'Bring Your Daughter To The Slaughter'. Il disco fu figlio della volontà di Dickinson di recuperare le radici heavy rock dell'act britannico, riportando le coordinate stilistiche ai tempi di Paul Di Anno, ma la scelta non si rivelò azzeccata e Steve Harris decise di tornare all'heavy-power ormai tipico della sua Creatura. L'uscita, nel 1992, di 'Fear Of The Dark', disco ancora molto melodico, coincise con la parziale rinascita della Vergine di Ferro; l'album venne trascinato dalla title track, una canzone emozionante ricca di cambi di tempo e della consueta perizia tecnica, evincibile in brillanti galoppate melodiche sfociate dalle chitarre di Smith e Murray. Altri pezzi di spicco sono la prima vera ballad scritta dalla band ['Wasting Love'], la solenne 'Afraid To Shoot Strangers' -solennemente ispirata nella struttura ad 'Hallowed Be Thy Name'- e la movimentata 'Be Quick Or Be Dead', uno dei pezzi più irruenti e 'da pogo' composti dall'act inglese. Purtroppo però dopo questo album Dickinson, che nel frattempo aveva iniziato una carriera solista, decise tra le polemiche di mollare la band e dedicarsi solo alla sua produzione personale. Fu un colpo durissimo per la band, imperniata sulla sua solarità scenica, e per i fans, troppo attaccati alla sua maestosità vocale, praticamente insostituibile. Proprio durante il tour di supporto a Fear of The Dark, Dickinson era apparso quasi svogliato e non tutti furono entusiasti delle sue prestazioni, decisamente più contenute e meno esplosive: in seguito, dichiarerà di essersi limitato a svolgere il proprio lavoro in maniera professionale, preferendo non esibirsi in false dimostrazioni di baldanza e coinvolgimento.
IRON MAIDEN, segue
1980 IRON MAIDEN 1981 KILLERS 1982 THE NUMBER OF THE BEAST 1983 PIECE of MIND 1984 POWERSLAVE 1986 SOMEWHERE in TIME 1988 SEVENTH SON OF A SEVENTH SON 1990 NO PRAYER FOR THE DYING 1992 FEAR OF THE DARK 1995 THE X FACTOR 1998 VIRTUAL XI 2000 BRAVE NEW WORLD 2003 DANCE OF DEATH 2006 A MATTER OF LIFE AND DEATH 2010 THE FINAL FRONTIER






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