NEVER, NEVERLAND (ANNIHILATOR, 1990)

TECHNICAL THRASH BAY AREA'S STYLE. Annihilator 2: Un Anno Dopo. Sì, il secondo capitolo musicale della band in questione viene partorito a soli 12 mesi di distanza dall'eccellente debut Alice in Hell ed è di nuovo un lavorone! Lo stile è praticamente rimasto quello del precedente episodio: il sound è sempre indirizzato verso un bel technical thrash bay area style in cui non si può dire quale sia la parte maggiormente in risalto, è tutto incastonato veramente alla perfezione. La voce di Randy Rampage è stata rimpiazzata da quella di Coburn Pharr, più apprezzabile ed espressivo. Altro avvicendamento avviene alla chitarra, dove non si trova più Anthony Greenham, al cui posto invece è subentrato Dave Scott Davis, che mostra un maggior gusto per le sonorità moderne. E questi non saranno altro che degli assaggi del milione di cambiamenti che il nostro Jeff Waters apporterà alla line up dei suoi Annihilator, che vedranno un vero e proprio tourbillon di avvicendamenti. Difficile quindi affezionarsi alla band, non avendo come punto di riferimento nessuno zoccolo duro a costituirne le fondamenta, altrettanto ostico risulta invece non innamorarsi totalmente di 'Never, Neverland' se si è amanti del thrash metal: per rompere il ghiaccio alla grande vi è l'opener 'The Fun Palace', che stilisticamente riprende abbastanza quanto fatto per esempio con Alison Hell, ove alcune soluzioni musicali vi si ritrovano; l'assolo è veramente eccezionale ed incornicia il primo quadro di una galleria arredata per lo più con capolavori. Il secondo episodio è veramente grandioso e risponde al nome di 'Road to Ruin': anche questa non parte certo su velocità sostenute ma è proprio il suo incedere in stile panzer prima con un riff stoppato e poi molto più fluido a renderla ottima, oltre al gran numero di questi qui contenuti è veramente straordinario; le linee vocali di Pharr sono anche qua molto azzeccate e il lavoro della sezione ritmica ancora una volta composta dal duo Wayne Darley e Ray Hartmann qua è eccezionale, notevole è infatti anche il finale offertoci in controtempo rispetto alla ritmica portante delle chitarre. 'Sixes And Sevens' segue di gran carriera e sinceramente diventa difficile una descrizione in quanto sarebbe arduo non risultare ripetitivo: il bello del disco è, prendendo ad esempio questa traccia, che si trova ad essere in continua evoluzione; diventa splendido lasciarsi trasportare da un continuo mutare di ritmo, di velocità piuttosto che di riff, il tutto eseguito con una capacità tecnica indubbia e sicuramente non fine a sè stessa, ma al servizio di uno scopo: quello di restituire a chi lo ascolta un'opera di qualità molto, molto elevata. L'idea di melodia che contraddistingue le tracks finora descritte non viene certamente meno in 'Stonewall', anch'essa ricca di spunti splendidi, uno dei quali è certamente l'arpeggio in acustica che talvolta nel corso della song funge da stacco, e lo fa in maniera ineccepibile. In quinta posizione vi è la title track, ballad che mostra come, oltre all'ottimo gusto per gli arpeggi, gli Annihilator nonostante la chiara impostazione thrash siano proiettati verso il futuro con quella propensione per i riff stoppati che farà la fortuna di gruppi post thrash molto famosi; detto questo, in tutta sincerità trovo sì piacevole lo stacco che riesce a dare tra i due "lati" del disco, utile a rilassare dopo cotanta potenza, nonostante tutto non amo particolarmente la ballad. Si rientra prontamente nei ranghi però, e lo si fa alla grande grazie a 'Imperiled Eyes,' traccia che ha nel riffing mostruosamente articolato ed intricato, oltre che nei continui stacchi/cambi di tempo il suo punto forte. Da ascoltare innumerevoli volte senza mai stancarsi, questo è l'obbligo che si ha nei confronti della song in questione, che ha dalla sua (per l'ennesima volta) una prova straordinaria della sezione ritmica e delle 6 corde, senza poter trovare assolutamente alcun musicista che si erga sugli altri per prestazione; memorabile è il tappeto di doppia cassa e la prova in sede d'assolo della band con immediato ed inaspettato ritorno sulla strofa, ma è proprio tutta Imperiled Eyes a essere imprevedibile nel caso il disco non sia stato ancora assimilato. Se con 'Kraf Dinner' si ascolta un pezzo decisamente più immediato ed assimilabile della monumentale Imperiled Eyes, con 'Phantasmagoria' si ritorna a pestare secchissimo ed a velocità medie più alte rispetto a quanto proposto sinora: trattasi forse dell track più bastarda dell'intero disco, impreziosita anch'essa dalla prova al microfono di Coburn Pharr, che conferma d'essere superiore al predecessore ed in grado di rivaleggiare con voci più blasonate: Phantasmagoria pur mantenendo la struttura classica del thrash con riff in cavalcata e stop & go a cavalcata, è pregna del trademark degli Annihilator, quel marchio di fabbrica fatto di tecnica superiore alla norma unito alla melodia sempre inserita in maniera bilanciata. La sana dose thrash metal non viene meno nemmeno con la seguente Reduced To Ash, pezzo veloce ed aggressivo, che mantiene la linea di facile assimilazione della precedente Phantasmagoria senza far venire meno assolutamente la qualità. Qui il gusto per le trame cervellotiche permane ovviamente, ma maggiormente teso al risultato devastante della classica song thrash, come lo è anche la conclusiva botta 'I Am In Command' che, dalla dissolvenza di un primo riff in controtempo rispetto alla batteria, parte forsennata ad un ritmo incalzante che culmina nel gratificante assolo dal gusto melodioso eccezionale per poi ritornare alla strofa che ha nel refrain uno dei suoi punti di forza e che rimanda talvolta alla mente lo stile dei primi Exodus di Bonded By Blood. Never, Neverland è quindi un album che, per chi ama le sonorità dei Testament di The New Order piuttosto che di Practice What You Preach e i Megadeth del periodo thrash risulta essere assolutamente imprescindibile; apice degli Annihilator primo corso, di una band canadese che coi suoi primi due cd aveva fatto presagire un futuro incredibile e che poi tra alti e bassi si è andata sminuendo, complici anche delle scelte incomprensibili di Waters che con Set the world a Fire cercherà di ammorbidire la proposta commercializzandola.