FEAR OF THE DARK (IRON MAIDEN, 1992)

HEAVY MAIDEN MAINSTREAM. La Vergine di Ferro sa ancora graffiare? E’ il 1992, e dopo il mezzo passo falso di ‘No Prayer For gli Iron Maiden tornano in pista con un album laccato di heavy metal classico, melodico, godibile. Non prettamente collegato ai precedenti capolavori epici della band, ma più spendibile radiofonicamente e sempre senza perdere i fronzoli pomposi che hanno reso celebre la band di Steve Harris. Una serie di tracce valide e relativamente aggressive: con il loro ‘Black Album’ (in gergo: album ammiccante) gli Iron Maiden compiono il definitivo salto verso la celebrità oltre i confini del rock, anche se resterà il dubbio del ‘cosa sarebbe stato’ col caro vecchio Adrian Smith alla chitarra. E’ tempo di cambiamenti, dalla copertina (un Eddie in simbiosi con un albero) non più disegnata dal celebre Derek Riggs fino alla ballata d’amore ‘Wasting Love’ che è la sorella maideniana di ‘Nothing Else Matters’. Il resto dell’album è una altalena di pezzi buoni ed altri meno, checchè ne dicano i detrattori che accusano Bruce Dickinson di una prova al di sotto dei suoi standard: in realtà il vocalist inglese sa ancora conferire pathos ed energia ai pezzi della band. L’opener ‘Be Quick Or Be Dead’ è inizializzata da un riff memorabile e da un’interpretazione vocale acuta e frizzante, e condanna i numerosi scandali politici verificatosi in quel periodo. ‘From Here to Eternity’ chiude la saga infinita di Charlotte The Harlot. L’atmosfera e il giro di chitarra di ‘Afraid to Shoot Strangers’ e l’incedere lento e malinconico della title track danno all’album un lato più profondo e dark: proprio ‘Fear Of The Dark’ esplode in una mitragliata di riff indimenticabile, che ancora oggi, accompagnata dai cori del pubblico, in sede live crea un effetto davvero emozionante. Gli altri pezzi del lotto si mantengono su una linea meno importante, e passano senza troppo scalpore fuori dalle casse dello stereo. Fear is the Key parla della nostalgia dei tempi in cui se ne facevano 'di cotte e di crude' mentre ora regna l'insicurezza. Childhood's End ci insegna che guerre, tirannie, fame e carestie sono ovunque nel mondo mentre noi viviamo all'oscuro, ma per le persone che vivono in queste situazioni non c'è la gioia dell'infanzia. The Apparition racconta del fantasma di un amico che viene a dirti di vivere con passione e di impegnarsi diffidando della gente che ti inganna e ti delude mentre lui sta per scoprire cosa c'è nell'aldilà. Judas be my Guide spiega che viviamo in un mondo di oscurità dove non ci sono certezze ma solo violenza e non c'è nessuna guida all'infuori di Giuda. Weekend Warrior (Guerriero del fine settimana) parla di quei ragazzi che quando sono all'interno di un gruppo -in questo caso gli hooligans allo stadio- si sentono dei duri e si fanno prendere dall'adrenalina ma quando arriva il lunedi si vergognano di quello che hanno fatto. Il giudizio finale, che per un ascoltatore ‘normale’ può risultare più che positivo, lascia inevitabilmente perplessi i fan della Vergine e i metallari in generale: perché gli Iron Maiden lo hanno confezionato con fiocchi e controfiocchi, ma non rievocando la magia del passato. E’ il canto del cigno di Dickinson, che lascia la band per dedicarsi alla sua carriera solista: alle cure vocali di Blaze Bayley vengono affidati i destini del combo inglese. Ma le antiche fortune risplenderanno solo dopo otto anni, e coincideranno proprio col ritorno a casa del figliol prodigo Dickinson.