BRITISH STEEL (JUDAS PRIEST, 1980)

PURO ACCIAIO BRITANNICO. Dopo aver messo a ferro e fuoco i palcoscenici di mezzo mondo, i Judas Priest sono all’apice. Un ricco contratto con la CBS ha annullato i problemi economici (tipici di ogni band) ed è appena entrato in formazione Dave Holland, l’ennesimo batterista ma il primo tecnicamente preparato e destinato a durare. Il momento è caldo ed il combo è pronto a sferrare un colpo come British Steel. L’ album è stato scritto e arrangiato durante il lungo tour giapponese e presenta sostanziali trasformazioni di quello che, fino ad allora, era stato il classico sound della band. Vengono semplificate le strutture delle canzoni, a scapito della vena blues, allontanandosi così dagli ispiratori Black Sabbath e Led Zeppelin. Si guadagna in velocità e si sperimentano nuove soluzioni, come cori e inserti sonori, accennati nei precedenti album. L’inizio è da favola: 'Breaking the Law'. Uno spettacolo sonoro della durata di soli 2 minuti e mezzo, sufficienti ai Priest per dimostrare di che cosa sono capaci: cambi di tempo, stacchi e duelli tra le chitarre, tutto con una straordinaria vena melodica. E’ stato tratto anche un videoclip dove i cinque rubano il loro disco di platino a colpi di chitarra: forse un po’ pacchiano rispetto a quelli a cui ci ha abituato MTV ma era il meglio che si potesse sperare dal rock all’epoca. La seconda traccia è 'Rapid Fire': velocità allo stato puro; progenitrice dello speed metal, la canzone è caratterizzata da riff acuti e potenti, con la voce di Halford tagliente e la batteria ad aggiungere la giusta carica. Direttamente collegata con la traccia precedente da effetti sonori, 'Metal Gods' è un anthem classico da concerto che sprigiona fortissime emozioni grazie ad un indovinato connubio tra musica e comunicazione: c’è qui un grande impulso al tema del rapporto tra uomo e macchina, caro ai Priest. Da questa canzone è nato il soprannome di Rob Halford o più genericamente della band, 'The Metal Gods'. A chiudere la canzone ci pensano suoni di catene e chitarre. Segue dunque 'Grinder': sfuriate metal condite da piacevoli parti strumentali. La successiva 'United' è una particolare ballad corale, molto calda. Viene poi la classicissima 'Living After Midnight', puntualmente richiesta ad ogni concerto; non è una dimostrazione di potenza o tecnica, la melodia è semplice e trascinante, ma uno strepitoso inno alla libertà ed alla vita “on the road”. Proseguendo, 'You Don’t Have To Be Old To Be Wise': è’ il brano più lungo, meno diretto. 'The Rage' e 'Steeler' chiudono l’album: il primo è un pezzo tagliente dalle ritmiche rallentate mentre il secondo è al contrario molto veloce, con la batteria a dettare i tempi. A questo album seguì un lungo tour mondiale, dove le spalle erano gli esordienti Iron Maiden: un vero successo. La copertina è stata giudicata come una delle '100 cover più belle della storia del rock': è nata, col titolo del disco, dal precedente lavoro di Glenn Tipton, operaio in un’acciaieria. L’album è estremamente vario, e sebbene qualche canzone possa essere discutibile, le altre soddisfano ampliamente. Caldamente consigliato ai fans della NWOBHM, trova posto tra i primi album degli Iron Maiden e dei Saxon.