CROSS PURPOSES (BLACK SABBATH, 1994)

POTENTE, MA SOTTOVALUTATO. Il fatto che la reunion con Dio fosse solo frutto di un oculato calcolo monetario da parte della Vertigo, non è da nascondere. I Sabbath, dopo aver inciso Dehumanizer, sono nuovamente in pista ma il fato non ha proprio nelle sue grazie Iommi e perciò vede di assestare un colpo basso alla compagine del Sabba Nero nella forma del concerto d'addio di Ozzy (tour a supporto di No More Tears). I Sabbath vogliono partecipare, ma Dio non vuole sentire ragioni e, girando i tacchi, lascia il gruppo senza un cantante; problema risolto cercando prima l'usato sicuro (Tony Martin, che però non riesce ad andare in Costa Mesa a causa dei permessi per entrare in USA) e poi sull'usato contiguo, Rob Halford (che si offre come cantante per il concerto californiano, a cui partecipa anche Vinnie Appice). La formazione è per tre quinti quella presente sull'album Heaven and Hell (Iommi, Butler e Nicholls), a cui si aggiungono Tony Martin e il batterista ex Rainbow Bobby Rondinelli. L'album in questione, com'è? La domanda sorge spontanea dopo le "durezze" proposte in Dehumanizer e il rientrante Tony Martin deve confermarsi quell'ottimo cantante qual'è, ma è il 1994 e i tempi sono particolari: il grunge è morto e il metal sta ritornando all'apice e i Sabbath escono con il loro 17° album in 24 anni di onorata carriera. A partire dalla cover art, molto bella, Cross Purposes si rivela fresco a ispirato, le tonalità più dure della chitarra di Iommi sono state mantenute e i brani scorrono perfettamente bilanciati fra pesantezza "metallica" e melodia "vecchio stile". Le canzoni, a partire dalla veloce I Witness (sembra quasi provenire dalle session di Dehumanizer), hanno ottimo groove e una certa spigolosità arrotondata dalla voce melodica di Martin. Gli intrecci di chitarra ritornano preponderanti (l'intro acusticheggiante di Cross of Thorns e il suo andamento possente ma pregno di mood epico non potrà che far scendere una lacrima agli amanti di Children of the Sea), come anche le venature doom, aggiornate agli anni 90, di Virtual Death (la coppia Butler-Iommi è al lavoro e si sente... NdA). Menzione speciale va anche a Psychophobia, sublime incrocio fra le tendenze precedentemente menzionate: la velocità e pulizia "metallica", il groove e il sentimento tipicamente hard rock e la prova straordinaria di Martin. La ripetitività del riff base di Immaculate Deception, la cui linearità non stona, è volano necessario per lanciare gli intermezzi veloci in cui un Rondinelli sugli scudi tiene su la baracca mentre Iommi sguinzaglia la sua maestria. La traccia, forse, ha il solo difetto di apparire nella tracklist esattamente prima di Dying for Love; avevamo già potuto apprezzare Martin alle prese con le ballad, ma in questo caso la premiata ditta Iommi-Martin ha creato una gemma. Il riff liquido (ricorda le morbidezze di Born Again) che blandisce ma che sa anche pungere, le strutture discrete di Nicholls e, soprattutto, un Tony Martin mai così a suo agio dietro al microfono creano il brano a cui spetta uno dei primi posti nella discografia Black Sabbath con Martin. Da rimarcare ancora e ancora la prova di Tony Iommi. Dopo la stupenda Dying For Love (vale il prezzo del Cd, NdA), arriva la redenzione più dura di Back to Eden - buon brano, ma non fra i migliori di Cross Purposes, seppur benedetto da un ottimo lavoro di chitarra di Iommi-, gli incastri parti mellow-parti dure di The Hand That Rocks The Cradle sono perfetti e non dispiace di sentire a distanza di breve due canzoni dalle tonalità più rilassate. L'unico momento in cui il sopracciglio si alza perplesso è all'altezza Cardinal Sin. Il brano ha un omaggio/scopiazzatura(?) di kashmiriana memoria nel tappeto di tastiere e il resto del brano non riesce ad essere all'altezza della qualità pura espressa in tutto Cross Purposes. Cardinal Sin (inzialmente chiamato Sin, Cardinal Sin...) non parte bene, ma si risolleva con il passare dei minuti, ma non riesce ad arrivare ad una sufficienza convincente. Il brano che chiude, idealmente, Cross Purposes è accreditato a Butler, Iommi, Martin ed Eddie Van Halen. Il solo iniziale, rapido e lancinante, è urlo d'intenti, e il suo gemello a centro canzone ne è la risposta orgogliosa; il resto di Evil Eye staziona su un ottimo mid-tempo percussivo e con riff portante circolare e ripetitivo. Molto particolare l'effetto Heaven and Hell che si crea subito dopo il solo centrale, con quella linea di basso di Butler (supportato unicamente da Rondinelli) e il cantato enfatico e sentito, mentre Iommi si cura dei fills in lontananza e poi sfocia in un lungo solo sempre nelle retrovie. L'edizione giapponese di Cross Purposes contiene la veloce What's the Use, dal tipico rifferama di Iommi. What's The Use è un ottimo brano e spiace che l'abbiano lasciato unicamente per l'edizione giapponese, meritava più fortuna e di finire nella tracklist ufficiale del disco. blackbloodysabbath.it